Scegliere un panificio a Roma nord: la guida

Scegliere un panificio a Roma nord: la guida

Giugno 27, 2018 0 Di Sylvia Allegri

Ci sono giorni in cui il vento fresco del mattino riesce a smarcarsi, lesto, e si insinua fra le maniche della giacca. L’aria è fresca e mi solletica le narici, entra nei polmoni insieme all’odore del pane appena fatto, del fumo di nocciole bruciate, di quelle che i panettieri usano per alimentare i forni a vapore.

Lo sguardo si posa stanco sul cielo lattiginoso che è bianco e ferisce gli occhi mentre i piedi avanzano, noncuranti, uno dopo l’altro, sempre più svelti, e i mocassini scivolano sui sampietrini lucidi di brina e torno con la mente a quando ero bambino. Un panino caldo, che mio padre andava a prendere al forno sotto casa, quello di Bonci, la marmellata di albicocche, un bicchiere di latte.

Mister Panino, così mi chiamavano i miei compagni del pulmino. E berciare di voci bianche, e scherzi goliardici mentre dal finestrino piccole gocce di pioggia bussavano con le nocche e sembravano voler entrare a fare baldoria con noi piccoli. Il pane mi scaldava le mani e a me piaceva metterci il naso dentro, sentirne il profumo che, se chiudo gli occhi, mi ricorda ancora quello di mamma.

Oggi le cose sono parecchio diverse. Il consumo di pane è crollato e i panifici, soprattutto quelli storici, assomigliano sempre di più ai famosi bistrot parigini. La panificazione segue strade differenti e qui, nei luoghi della mia infanzia, a Roma nord, non è difficile trovare panini al sesamo, pezzi di pane alle noci, oppure farciti alle olive, lievitati ventiquattro ore, fatti con farine speciali di kamut, farro, segale, riso e quanto di più fantasioso possa esserci.

E sono qui, davanti alla vetrina di Roscioli e fisso libidinoso le sue pizze al taglio, col bordo croccante e quasi quasi mi accomodo al tavolino e chiedo pure un bicchiere di vino bianco. Poi ci ripenso, il vino forse non è il caso perché non è ancora ora di pranzo. Metto le mani in tasca cerco il telefonino e sono su Googe Maps.

Panificio Di Filippo e mi viene l’acquolina in bocca. Non solo pane, non solo pizza ma anche primi piatti succulenti e secondi di carne, pesce, e poi… i dolci e l’acquolina in bocca mi fa assomigliare al cane di Pavlov. Credo sarà questa la mia meta per il pranzo.

Continuo a passeggiare e mi rendo conto di quanta storia vive ancora oggi in questi panifici. Quanta arte, quanto amore, quanto sacrificio e dedizione di famiglie che tramandano la propria conoscenza e le proprie ricette da padre in figlio.

Il pane è una costante che sopravvive sempre perché è memoria di mani, di braccia, di notti insonni e migliaia di albe vissute fra lieviti, farine, litri di caffè e pacche sulle spalle. Decido di farmi un giro, mani nelle tasche, gli occhi socchiusi guardano in terra. Roma nord è un caleidoscopio di vita che rinasce ogni volta che una infornata è pronta per essere mangiata.

Calda, fragrante, croccante. Il pane sfama la gente e non chiede da dove vieni, quanti anni hai, di che colore è la tua pelle. Eppure il pane è diverso, ogni vicolo un pezzo. Scommettiamo che se vieni con me finirai per riconoscere quello di Carmelo Rao che si ispira alle favole di Handersen, oppure quello di Solfrizzi. Magari ti piacerà quello di Pinriesi oppure quello di Remo Maurizi. E conoscerai la storia, quella del pane di Roma nord. Il migliore del mondo.